Rivoluzione copernicana | Ci sono (finalmente) le condizioni per la nascita di un vero spazio politico europeo
LINKIESTA – In coincidenza con la giornata dell’Europa, il 9 maggio 2021 si è aperta la Conferenza sul futuro dell’Europa. Intervista a Alberto Alemanno dall’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa.
Secondo il professor Alberto Alemanno, intervistato dall’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, la Conferenza sul futuro dell’Europa è «questo esercizio del tutto inedito potrebbe contribuire alla nascita di uno spazio politico transnazionale, che è esattamente ciò che oggi manca»
Pubblicato originariamente su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
In coincidenza con la giornata dell’Europa, il 9 maggio 2021 si è aperta la Conferenza sul futuro dell’Europa. Un’iniziativa lanciata dall’Unione europea su impulso del presidente francese Emmanuel Macron, che dovrebbe contribuire a rilanciare il processo di integrazione, aprendo magari la strada per delle nuove politiche o per delle riforme istituzionali. I lavori della conferenza entreranno nel vivo al termine dell’estate e si concluderanno nella prossima primavera.
Ne abbiamo parlato con Alberto Alemanno , che si occupa a fondo di questioni europee sia in veste di giurista, sia come attivista impegnato a favore di una maggiore integrazione e come opinionista su molte testate internazionali, come il Guardian. Ha fondato tra le altre cose The Good Lobby , un’organizzazione che favorisce la partecipazione democratica dei cittadini europei.
Professor Alemanno, cosa c’è di nuovo in questa conferenza sul futuro dell’Europa, e perché potrebbe avere un impatto notevole?
Sono trascorsi ormai 15 anni dall’ultima volta in cui l’Unione europea ha avviato un processo di riforma istituzionale, quello del trattato di Lisbona. Adesso si torna a ragionare in grande sul futuro dell’Europa – ma questa volta i leader europei hanno imparato dagli errori del passato. A differenza dei tentativi di riforma precedenti, qui non abbiamo una conferenza intergovernativa chiamata a modificare direttamente i trattati dell’UE: assistiamo a un processo preparatorio, che potrebbe portare in un secondo tempo a intervenire sui trattati. E così, invece di rimanere impigliata in temi astratti, la conferenza pone al centro questioni politiche sostanziali, che interessano i cittadini: la salute pubblica, il cambiamento climatico, e così via.
Se dovesse emergere che questi problemi richiedono soluzioni che l’Unione europea oggi non può offrire all’interno delle proprie competenze, allora la spinta per modificare i trattati non sarà più calata dall’alto, ma salirà direttamente dai cittadini. È una rivoluzione copernicana. Indipendentemente da quale sarà il suo esito, questo esercizio del tutto inedito potrebbe contribuire alla nascita di uno spazio politico transnazionale, che è esattamente ciò che oggi manca.
A questo risultato dovrebbe contribuire l’altro grande elemento di novità di questa conferenza, cioè la sua struttura.
Sì, questa conferenza non ha eguali in termini di design, metodi e scala; è davvero il primo esempio di consultazione pubblica pan-europea a cui assistiamo. Ha una struttura piramidale su tre livelli, alla cui base si trova una piattaforma multilingue digitale , che permette a chiunque di condividere idee sull’Europa e anche di organizzare eventi. Un sistema di traduzione automatica permette ad esempio a un portoghese di parlare direttamente con un italiano nella propria lingua. Si tratta di un sistema potente, anche se al momento la piattaforma ha raccolto meno di 20.000 iscritti.
Il secondo livello prevede la creazione di quattro assemblee civiche (o panel), ciascuna composta da 200 cittadini europei estratti a sorte. Devono essere rappresentative dal punto di vista demografico e socio-economico di tutte le comunità che abitano il nostro continente, e sono chiamate a discutere e deliberare sulle tematiche che emergono dalla piattaforma digitale.
Al vertice della piramide vi è una plenaria composta da 433 membri, che porta per la prima volta all’interno di una stessa assemblea non soltanto europarlamentari e membri dei parlamenti nazionali, ma anche cittadini provenienti dalle assemblee civiche e rappresentanti delle parti sociali, che insieme dovranno deliberare sulle proposte provenienti dai panel. Nessuno di questi meccanismi è mai stato sperimentato prima a livello transnazionale, e anche a livello nazionale i precedenti sono molto limitati. Riuscire a far funzionare questi tre livelli è una bella sfida anche dal punto di vista metodologico.
La conferenza sul futuro dell’Europa potrebbe però anche risolversi in lunghe discussioni che rimangono poi prive di sbocchi giuridici o legislativi concreti. Come misureremo allora il suo grado di successo?
Il successo della conferenza non dovrà essere misurato in base al numero dei cittadini coinvolti o alle eventuali modifiche dei trattati, ma piuttosto in base alla sua capacità di far emergere idee nuove e farle entrare nell’agenda europea. Se verranno gestite come si deve, le assemblee civiche saranno davvero rappresentative delle varie dimensioni socio-economiche, geografiche, culturali e politiche dell’Europa. Anche i media saranno incuriositi da questa esperienza innovativa: si sprigioneranno inevitabilmente delle idee che sarà poi difficile far scomparire.
Per via del suo assetto istituzionale, la conferenza è il primo esercizio su cui le istituzioni europee non hanno il totale controllo. È una buona notizia: per creare una vera democrazia europea abbiamo bisogno di suscitare dibattiti in cui diverse visioni sull’Europa si confrontano, ma i partiti politici tradizionali non riuscirebbero a farlo da soli.
Con la conferenza si creeranno nuove dinamiche, che magari andranno al di là di quello che ci si può aspettare al momento. Finora il processo di integrazione europea non è mai stato genuinamente popolare – questa conferenza potrebbe dare voce a un numero ampio di cittadini e cittadine, che insieme potrebbero portare avanti delle istanze che finora non sono mai state espresse in maniera chiara.
Per rendere davvero rappresentativa la conferenza, è però necessario che riesca a dare voce anche a quei cittadini che sono più diffidenti – o ostili – nei confronti dell’Unione europea così com’è oggi. C’è il rischio che alcuni governi euroscettici provino a “pilotare” la conferenza, magari appoggiandosi a organizzazioni della società civile apparentemente indipendenti?
Un rischio della conferenza è il suo effetto polarizzante: al momento sulla piattaforma digitale ci sono o dei cittadini molto pro-europei oppure dei soggetti euroscettici che utilizzano questa opportunità per dare in qualche modo addosso al progetto di integrazione. Questo effetto polarizzante fa un po’ parte del gioco, e in fondo è bene che queste voci si possano confrontare all’interno di uno stesso spazio. Tra l’altro, partecipando alle discussioni sulla piattaforma le voci euroscettiche contribuiscono a legittimare la conferenza stessa.
Al contempo, ci sono effettivamente dei governi, come quello polacco, che appoggiano con forza la conferenza perché sperano di riuscire a “manipolarla” in qualche modo. Ci saranno dei panel nazionali che i singoli stati possono autogestire e altri eventi che potrebbero essere portati avanti da Ong vicine al potere: i rischi di manipolazione sono reali, ma sono decisamente inferiori rispetto ai vantaggi che porta l’avere un processo democratico di confronto. Insomma, il gioco vale la candela.
In poche aree del nostro continente c’è una connessione tanto forte tra le parole “futuro” e “Europa” come nei Balcani. Eppure i cittadini dei Balcani occidentali sono stati lasciati fuori dalla conferenza sul futuro dell’Europa, o forse saranno coinvolti solo in modo marginale e tardivo. Che cosa ne pensa di questa esclusione?
Se n’è dibattuto parecchio, ma purtroppo è mancata la volontà politica. Soltanto una minoranza dei governi era favorevole al coinvolgimento dei Balcani occidentali. Credo che questa scelta derivi da un’idea più ampia, secondo cui in questa fase non c’è spazio per un nuovo allargamento. Ormai prevale la sensazione che ci siamo allargati troppo in fretta e che il progetto europeo rischi di dissiparsi, come mostra il conflitto sullo stato di diritto tra l’UE e alcuni stati membri.
Per non escludere del tutto le visioni e gli interessi di comunità che rimangono prossime alle nostre, una soluzione potrebbe essere quella che è stata spinta dalla coalizione Citizens take over Europe : creare autonomamente degli eventi e delle attività parallele alla conferenza, includendo anche voci dai Balcani occidentali, e portare poi le idee che emergono da lì sulla piattaforma digitale e dentro le assemblee civiche, in modo che possano comunque arrivare nella plenaria. Sta nascendo un ecosistema per far emergere queste nuove dinamiche parallele, ma serve la capacità di organizzare e di costruire coalizioni – come potrebbe accadere ad esempio tra OBC Transeuropa e le comunità con cui dialogate.
Benché la conferenza rappresenti per molti versi una novità, l’UE prevede già una serie di canali con cui i cittadini possono avanzare proposte, esprimersi, partecipare. La conferenza sul futuro dell’Europa potrebbe contribuire a rafforzare questi canali?
È vero: nel corso degli anni l’Unione europea si è dotata di un’infrastruttura democratica che è assolutamente eccezionale e ineguagliata dai suoi stati. Nessuno stato membro offre ai suoi cittadini la stessa varietà di canali di partecipazione che mette a disposizione l’UE: ci sono il diritto di petizione al Parlamento europeo, le consultazioni pubbliche della Commissione, la possibilità di presentare denunce alla mediatrice europea, il diritto di accesso ai documenti, e così via.
Il problema è che un cittadino europeo oggi ha così tanti strumenti che alla fine non ne conosce nessuno. I diversi canali sono stati creati in modo frammentario, tanto che spesso non è chiara la differenza tra l’uno e l’altro. Di fatto, le istituzioni hanno sempre limitato il potenziale di questi strumenti, li hanno resi complessi, non li hanno mai promossi – non è una sorpresa che oggigiorno il numero di cittadini europei che fanno uso dei canali di partecipazione offerti dall’UE forse non arrivi neppure a 100.000 persone l’anno, un granello di sabbia rispetto ai 450 milioni di cittadini.
La conferenza sul futuro dell’Europa riconosce implicitamente che abbiamo un problema. Abbiamo bisogno di nuove forme per ascoltare i cittadini, perché finora non siamo riusciti a creare i canali giusti. La conferenza potrebbe essere un’occasione perfetta per rilanciare l’utilizzo degli strumenti esistenti e crearne ancora di nuovi – come ad esempio una o più assemblee civiche che affianchino stabilmente il Parlamento europeo. Ma ci sarebbe bisogno di sistematizzare questi canali di partecipazione. Il punto di partenza potrebbe essere proprio la piattaforma digitale che è stata creata per la conferenza sul futuro dell’Europa: potrebbe diventare quello il punto d’accesso ai vari strumenti a disposizione per la partecipazione dei cittadini, rendendoli più chiari e semplici da usare.