Sei domande sul passaporto vaccinale
INTERNAZIONALE – Tedeschi in Spagna, olandesi in Grecia e francesi in Italia? Una cartolina del “mondo di prima” che potrebbe tornare d’attualità quest’estate se i paesi europei si metteranno d’accordo sulle condizioni di entrata nei loro territori.
Tedeschi in Spagna, olandesi in Grecia e francesi in Italia? Una cartolina del “mondo di prima” che potrebbe tornare d’attualità quest’estate se la vaccinazione accelererà e se, al contrario delle divisioni del 2020, i paesi europei si metteranno d’accordo sulle condizioni di entrata nei loro territori.
È in quest’ottica che la Commissione europea ha annunciato il 1 marzo la presentazione di un progetto di “passaporto vaccinale” entro questo mese. La Francia e la Germania, che inizialmente consideravano prematuro un dispositivo del genere, ora sembrano interessate, mentre altri paesi dell’Ue stanno già sperimentando certificati sanitari di vario tipo.
Il progetto solleva diverse questioni, sia dal punto di vista della sua fattibilità al livello europeo sia sulla sua efficacia da un punto di vista sanitario. Cerchiamo di fare il punto.
1. A cosa potrebbe somigliare un passaporto vaccinale?
Tradizionalmente un passaporto è un documento rilasciato dalla pubblica amministrazione di uno stato, che attesta l’identità e la nazionalità di una persona. Nel quadro di una pandemia potrebbero essere uno o più documenti che attestano che una persona non rischia di essere contagiata o di contagiare le altre.
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha avanzato l’idea di una piattaforma in grado di “collegare le diverse soluzioni nazionali”. Non si parla quindi di un unico documento valido in tutta l’Ue. Potrebbero essere presi in considerazione diversi criteri: una vaccinazione; un test recente con un esito negativo nel caso in cui non ci si possa vaccinare; un test per la presenza di anticorpi in una persona che è già stata infettata dal virus.
Un’iniziativa del genere non è una novità. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per esempio ha già creato un “libretto giallo”, un certificato di vaccinazione richiesto per entrare in alcuni paesi africani. “Questo tipo di certificato è stato usato in passato – nel caso della febbre gialla – e si può pensare di usarlo in futuro per altre malattie contagiose, compreso il covid-19”, dice François Baylis, specialista di etica scientifica e medica, e professore di filosofia all’università Dalhousie di Halifax, in Canada.
Nella corsa alla soluzione migliore per ritrovare la libertà di movimento, alcune organizzazioni hanno anticipato gli stati e le istituzioni internazionali. A novembre l’Associazione internazionale del trasporto aereo (Iata) ha lanciato il Travel pass, che permette di avere una sorta di passaporto sanitario riunendo tutti i documenti richiesti in base al luogo di destinazione. Un’iniziativa simile, l’Aok pass, sarà testata da Air France dall’11 marzo per i tamponi molecolari necessari per viaggiare nelle Antille.
2. Qual è la posizione della Francia?
In un primo tempo le autorità francesi si erano mostrate contrarie al progetto. Il 22 gennaio il sottosegretario agli affari europei, Clément Beaune, aveva detto che la discussione era prematura: “Non si possono dare più diritti a chi è stato vaccinato rispetto a chi ancora non lo è, perché non tutti hanno accesso alla campagna vaccinale. Sarebbe ingiusto e paradossale”.
Ma poi, con l’avvicinarsi della stagione estiva e con la circolazione delle varianti del covid-19, il governo francese si è mostrato disposto a riconsiderare la questione. “Per ora seguiamo la discussione a distanza. Ci mancano le risposte: il vaccino permetterà di evitare i contagi? E quanto durerà l’immunità? Inoltre il dibattito dev’essere accompagnato dalla possibilità per tutti di avere accesso al vaccino. Ma l’idea alla fine si imporrà”, si dice oggi nel governo.
A dimostrazione che l’idea comincia a farsi strada a Parigi, il 25 febbraio il presidente Emmanuel Macron ha parlato di una tessera sanitaria con cui ci si potrebbe registrare per entrare in un luogo pubblico, ma anche per attestare in modo digitale un recente risultato negativo a un tampone o una vaccinazione.
3. Quali paesi sostengono il progetto?
La Grecia è stata la prima in Europa a pronunciarsi in favore di un sistema del genere. In attesa che il progetto si concretizzi al livello internazionale, Atene sta negoziando degli accordi bilaterali con altri paesi non europei – per esempio gli israeliani vaccinati potranno andare liberamente in Grecia. “Anche se non imporremo la vaccinazione obbligatoria o necessaria per un eventuale spostamento, le persone vaccinate dovrebbero essere libere di viaggiare”, ha scritto in gennaio il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis a Ursula von der Leyen.
Anche altri paesi dell’Europa meridionale, come la Spagna, Malta o il Portogallo che dipendono molto dal turismo, sostengono l’iniziativa. A questi paesi si sono aggiunti il Belgio e l’Ungheria, favorevoli al progetto, e la Polonia, la Danimarca, la Svezia e l’Estonia, che stanno sperimentando vari sistemi. Copenaghen e Stoccolma, per esempio, hanno annunciato la creazione di certificati elettronici per i viaggi all’estero dei loro cittadini.
La Germania e la Francia, a causa della lentezza delle loro campagne vaccinali, hanno mantenuto un atteggiamento prudente. Ma il Consiglio europeo del 25 febbraio ha mostrato un cambiamento di posizione dei due paesi, che hanno incaricato la Commissione di lavorare su un documento comune per gli stati membri dell’Ue. “Tutti sono d’accordo nel dire che abbiamo bisogno di un passaporto digitale di vaccinazione”, ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel.
4. Il passaporto vaccinale è giuridicamente possibile****?
Un certificato di immunizzazione potrebbe essere un ostacolo alla libera circolazione delle persone nell’Unione. “In realtà in un contesto di crisi sanitaria permetterebbe di facilitare la circolazione di chi è stato vaccinato, di chi è immune e di chi è risultato negativo al tampone (quindi conforme all’obiettivo dell’articolo 26 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, cioè assicurare le libertà di circolazione), e permetterebbe di migliorare o di preservare la salute umana (articolo 168 )”, osserva Vincent Couronne, autore di una tesi di dottorato sulle competenze dei paesi dell’Ue e interno al collettivo di ricercatori in diritto Les Surligneurs. Tuttavia la Commissione non può imporre nulla in questo campo – ragione per cui la richiesta è arrivata dal Consiglio europeo, spiega il giurista.
L’altro problema, che riconosce la stessa Commissione, è la difficoltà di accesso al vaccino, che crea un effetto di esclusione e quindi di disuguaglianza tra i cittadini dell’Unione. In attesa che il vaccino diventi accessibile su vasta scala, una soluzione temporanea è, come ha proposto Bruxelles, quella di permettere la libertà di circolazione attraverso altri elementi come i test dall’esito negativo o la presenza di anticorpi, riducendo così l’aspetto discriminatorio, aggiunge Jean-Paul Markus, docente di diritto pubblico.
Per quanto riguarda l’obbligo vaccinale che di fatto deriverebbe da questo dispositivo europeo, una legge nazionale potrebbe opporsi solo se ne riconoscesse il carattere lesivo per le libertà del cittadino. “Facendo un esempio simile, gli asili sono vietati ai bambini che non hanno fatto i vaccini obbligatori e nessun giudice lo considera discriminatorio, perché da un lato è una misura che tutela la salute pubblica e dall’altro (…) il genitore che rifiuta il vaccino si mette in una situazione diversa dagli altri, che deve accettare”, osserva Markus.
5. Il passaporto vaccinale sarebbe efficace da un punto di vista sanitario?
Il passaporto vaccinale si basa sull’ipotesi che le persone che si vaccinano non siano più contagiose se vengono a contatto con il sars-cov-2 e si propone di certificare questa situazione. Ma finora non ci sono certezze sulla capacità dei vaccini in commercio di far sì che le persone vaccinate non siano in nessun modo un pericolo per gli altri.
“I dati scientifici disponibili suggeriscono che i vaccini contro il covid-19, anche se bloccano i sintomi della malattia, non impediscono completamente la trasmissione del virus. Si limitano a rallentarlo. Di conseguenza la giustificazione scientifica che è alla base della proposta sembra discutibile.”
scrivono su Le Monde Alberto Alemanno e Luiza Bialasiewicz, specialisti in studi europei.
In effetti i test clinici condotti dai laboratori sui loro vaccini non sono stati espressamente concepiti per sapere se questi vaccini bloccano la trasmissione del sars-cov-2 nel caso in cui le persone vaccinate ci entrino in contatto. Da alcuni mesi sempre più dati scientifici suggeriscono che i vaccini riducono di molto la contagiosità dei portatori del virus, ma senza eliminarla completamente. Già nel novembre 2020 il test clinico per la terza fase del vaccino statunitense Moderna mostrava una riduzione di due terzi delle infezioni asintomatiche dopo la prima dose di vaccino. Il test condotto da AstraZeneca e Oxford sul loro vaccino ha portato a una riduzione del 49,3 per cento delle infezioni senza sintomi.
Un gruppo scientifico israeliano ha evidenziato una forte riduzione (del 75 per cento) della carica virale tra le persone vaccinate da almeno due settimane, suggerendo che la loro contagiosità è molto diminuita. Di fatto una ridotta carica virale significa che il virus si è replicato meno nel naso infettando il suo portatore, e quindi quest’ultimo ne espellerà una quantità minore nell’aria, riducendo il rischio di contagiare gli altri.
Ci sono già dati significativi e fondate ragioni biologiche per ritenere che i vaccini riducano la contagiosità di chi si è vaccinato. Ma è certo che questo non riguarderà il 100 per cento delle persone vaccinate. Una parte di loro (tra il 5 e il 15 per cento) sviluppa ancora dei sintomi leggeri se è infettata dopo la vaccinazione, e potrebbe trasmettere il virus. Un certificato di vaccinazione quindi non può dare una garanzia sanitaria assoluta. Solo delle ricerche più approfondite permetteranno di stimare la percentuale reale di persone vaccinate in grado di trasmettere il virus. Sapere se questo livello di protezione è accettabile o meno dovrà poi essere discusso dai leader dei paesi dell’Unione.
6. Quali sono i rischi legati a un dispositivo del genere?
Quando si discute del passaporto vaccinale si presenta il problema della privacy dei dati: “Anche se oggi in Francia c’è un elenco (chiamato Vac-Si) delle persone vaccinate, le finalità definite dal testo non prevedono che sia usato per limitare gli spostamenti degli individui”, ricorda Yoann Nabat, dottorando in diritto privato e scienze criminali presso l’università di Bordeaux.
Teoricamente si potrebbe tornare al tradizionale libretto sanitario individuale, ma in questo caso ci si esporrebbe a problemi di sicurezza e alla possibile presenza di falsi, com’è già successo nel caso dei tamponi molecolari, se non a un vero e proprio mercato nero dei certificati.
Visto che la capacità di limitare l’epidemia non è dimostrata, il passaporto vaccinale rischierebbe di mettere i suoi ideatori di fronte alle disuguaglianze nella campagna di vaccinazione tra i vari paesi e all’interno degli stessi paesi.
“Infatti oltre alla ‘selezione’ degli europei in funzione del luogo in cui vivono, ci sono differenze importanti tra gli stati membri sulla strategia di vaccinazione”,
Alemanno e Luiza Bialasiewicz
Senza contare le diverse definizioni di “categorie prioritarie”.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
Questo articolo è uscito sul quotidiano francese Le Monde.